PIEDE DIABETICO

Si parla di piede diabetico quando la neuropatia diabetica o l’arteriopatia degli arti inferiori compromettono la funzione o la struttura del piede. I due quadri, definiti anche come piede neuropatico o piede ischemico, sono profondamente diversi tra loro: tuttavia nella gran parte dei soggetti, soprattutto di età avanzata, coesiste sia la neuropatia che la vasculopatia e si parla quindi di piede neuroischemico. Un grave rischio di complicazione per un piede diabetico, in presenza di una ulcera aperta, è la probabile insorgenza di una infezione; questa infatti costituisce spesso la vera causa che ne determina l’amputazione.

Introduzione

Ormai da molti anni i progressi nella cura della malattia diabetica hanno portato ad un allungamento dell’ aspettativa di vita dei diabetici che ormai non differisce sostanzialmente dall’ aspettativa di vita della popolazione non diabetica. I problemi principali oggi per i diabetici non sono più quelli legati alla sopravvivenza ma quelli legati alle complicanze croniche del diabete; sia microangiopatiche, cioè dei piccoli vasi arteriosi (retinopatia, nefropatia, neuropatia), sia macroangiopatiche, cioè dei grossi vasi arteriosi (cardiopatia ischemica, arteriopatia degli arti inferiori, arteriopatia dei tronchi sovraortici). Tra le complicanze del diabete un ruolo sempre più rilevante è assunto da quella che va sotto il nome di “piede diabetico“; questa e’ in assoluto la complicanza che comporta il maggior numero di ricoveri ospedalieri. Se si pensa alle previsioni dell’ Organizzazione Mondiale della Sanità che ha stimato in oltre 300 milioni il numero di diabetici nel 2025 rispetto ai 120 milioni calcolati nel 1996 si può facilmente immaginare quale dimensione assuma questo problema: stime di questa patologia dicono infatti che circa il 15% dei diabetici andrà incontro nella vita a un’ ulcera del piede che richiederà cure mediche. Il problema più rilevante legato ad un’ ulcera del piede nei diabetici è il rischio di una amputazione maggiore, ossia effettuata sopra la caviglia; pur rappresentando la popolazione diabetica all’ incirca il 3% della popolazione generale, più del 50% di tutte le amputazioni maggiori riguardano proprio i diabetici.

Ma il fatto che più deve far riflettere è il seguente: su 100 diabetici amputati circa 84 hanno avuto come causa dell’amputazione un’ ulcera del piede aggravatasi nel tempo. E’ evidente quindi che se si vuole ridurre il numero delle amputazioni è necessario migliorare la capacità di curare efficacemente e precocemente l’ ulcera; per raggiungere questo obbiettivo è necessario disporre di protocolli diagnostici e terapeutici efficaci e di tutte le professionalità necessarie Ridurre il numero di amputazioni è un obiettivo fondamentale per la cura del paziente diabetico; ma quali sono concretamente le possibilità di raggiungerlo? Fornire una risposta a questa domanda è estremamente difficile perché mancano dati precisi su quanto avviene in tutta Italia; tuttavia nei Centri che si sono specializzati nella cura del piede diabetico è stata rilevata una riduzione significativa del numero di amputazioni maggiori tra l’ inizio degli anni 90 e l’ inizio del 2000. Questo potrebbe significare che i mezzi per ridurre le amputazioni esistono ma l’ottenimento di risultati su vasta scala non può prescindere dalla creazione di una efficiente organizzazione che implementi le linee guida esistenti e identifichi i Centri specialistici a cui inviare i pazienti con ulcera del piede. E’ necessaria a questo punto una considerazione fondamentale: il piede diabetico è nella maggior parte dei casi la punta di un iceberg, al disotto della quale coesistono un insieme di altre patologie, legate direttamente o meno al diabete, che necessitano a loro volta di essere curate contemporaneamente al piede. Tutto questo rende il diabetico con ulcera del piede un paziente particolarmente

Le caratteristiche istologiche della arteriopatia ostruttiva periferica (AOP) nei diabetici non differiscono sostanzialmente rispetto all’ arteriopatia della popolazione non diabetica: placche di lipidi e altre sostanze restringono il lume del vaso. Sono molto diverse invece le caratteristiche cliniche: nei diabetici l’arteriopatia è più frequente, precoce, rapidamente progressiva, non risparmia le donne, anche in età fertile, colpisce ambedue le gambe e interessa prevalentemente le arterie sotto il ginocchio. Quest’ultima è la caratteristica più importante ai fini della cura: le arterie della gamba e del piede sono di calibro più piccolo rispetto alle arterie della coscia, risulta quindi più difficile intervenire terapeuticamente su di esse. Inoltre nei diabetici le arterie sono molto spesso calcifiche, prevale la chiusura totale del vaso (occlusione) rispetto alla chiusura parziale, cioè il restringimento (stenosi); occlusioni e stenosi sono spesso multiple nella stessa arteria. Una caratteristica tipica del diabetico è spesso la mancanza del sintomo più precoce dell’ arteriopatia periferica: la “claudicatio”. La claudicatio è il dolore che insorge al polpaccio o alla coscia dopo un certo numero di passi. Questo dolore dipende dal fatto che le arterie della gamba che ricevono meno sangue del necessario, perché stenotiche o occluse, non riescono ad aumentare il flusso sanguigno necessario durante lo sforzo del cammino. Il numero si passi che si possono fare senza che insorga il dolore è estremamente variabile, può ridursi a poche unità o superare le centinaia, e risulta strettamente legato alla gravità dell’arteriopatia. L’ assenza di claudicatio esiste nel diabetico per la concomitante presenza di neuropatia sensitiva: il dolore sarà smorzato o addirittura assente e il paziente non si accorgerà di avere un’ arteriopatia alle gambe. Questo significa che non sarà così semplice una diagnosi precoce non invasiva, col rischio che il primo segno di un’ arteriopatia periferica sia un’ ulcera che non guarisce o nei casi più gravi una gangrena.

l piede non è solamente un organo deputato al movimento: è un organo complesso che esplica la sua funzione fornendo informazioni al cervello sotto forma di sensazioni e ricevendo da questo ordini motori. Le informazioni sensitive ci avvertono della temperatura e delle asperità del terreno su cui camminiamo, della pressione esercitata sul piede e delle sollecitazioni che provocano dolore su di esso. La deambulazione è la conseguenza di ordini provenienti dal cervello che provvede a muovere in sincronia i muscoli del piede che si contraggono o si rilasciano, in sinergia con tutti i muscoli del corpo, in funzione della necessità del passo o della postura. La conservazione della temperatura, della idratazione cutanea e del trofismo avviene tramite fibre nervose che non dipendono dalla volontà ma che lavorano autonomamente, indipendentemente dalla coscienza. La neuropatia diabetica colpisce sia i nervi sensitivi (neuropatia sensitiva) sia i nervi motori (neuropatia motoria) sia i nervi vegetativi (neuropatia autonomica); il piede neuropatico pertanto è un piede in cui la neuropatia diabetica ha modificato l’ equilibrio muscolare, la percezione degli stimoli, l’ autoregolazione vegetativa, cioè tutte e tre le componenti nervose.

La neuropatia sensitiva colpisce le fibre nervose che inviano le sensazioni al cervello. La conseguenza più grave è la diminuzione della soglia del dolore che può assumere differenti livelli di gravità; alcuni pazienti hanno infatti piedi poco sensibili altri perdono a tal punto la sensibilità da poter sopportare un intervento chirurgico senza anestesia. La mancanza di stimoli dolorifici, che a prima vista può sembrare un vantaggio, si rivela in realtà una sciagura perchè il dolore è un sintomo che ci avverte che qualcosa ci sta danneggiando. Ad esempio, è il dolore che ci avverte che una scarpa è troppo stretta spingendoci a toglierla; se manca il dolore continueremo a calzarla per tutta la giornata e, quando la toglieremo, ci accorgeremo tardivamente della lesione ulcerativa che si è formata. Questo esempio non è riportato casualmente: nella letteratura medica si riscontra che oltre il 30% delle ulcere del piede nei diabetici sono causate da scarpe inadatte. Ugualmente, è il dolore che ci avverte se abbiamo i piedi troppo vicini al fuoco del camino o se la sabbia su cui camminiamo è piena di cocci di vetro o conchiglie che ci feriscono. La neuropatia sensitiva è quindi una patologia che consente ad un trauma di perdurare nel tempo tanto da determinare una lesione senza la percezione di alcun segnale premonitore.

La neuropatia motoria colpisce le fibre nervose che innervano i muscoli del piede. Queste fibre nervose sono deputate a dirigere i comandi del cervello ai muscoli, determinandone quindi i movimenti. Quando un nervo che va ad un muscolo subisce un danno, il muscolo stesso soffrirà reagendo con una involuzione: questa si esprimerà in termini di ipotrofia e atrofia. L’ atrofia di un muscolo o un gruppo di muscoli porterà ad uno squilibrio tra muscoli o gruppi di muscoli. Tipicamente nel diabetico con neuropatia motoria si crea uno squilibrio tra muscoli estensori e flessori e un conseguente sbilanciamento tra le varie strutture tendinee che squilibreranno a loro volta le relative articolazioni. In parole più semplici, quando un muscolo si “retrae” perché si atrofizza, il tendine di quel muscolo trascinerà indietro l’ articolazione sulla quale è inserito. Il risultato finale sarà la griffe delle dita (queste si atteggeranno in modo tale da ricordare gli artigli animali), la prominenza delle teste metatarsali o l’ accentuarsi del cavismo del piede, etc. . Queste deformità possono coesistere nello stesso piede e, in taluni casi aggravare deformità già presenti (es. l’ alluce valgo che peggiora il proprio grado di valgismo). Tutto questo porta a una deformazione del piede e ad una modificazione dell’ appoggio plantare con una conseguente alterazione della superficie d’ appoggio che si ridurrà a punti particolari (es. teste metatarsali, tallone). Tale sconvolgimento dell’ appoggio del piede detemina un ipercarico (punto di maggior appoggio, quindi di maggiore pressione) in alcune aree e un carico minore in altre. L’ organismo nel tentativo di difendersi da questo eccesso di carico irrobustisce il foglietto più superficiale della pelle, lo strato corneo, nelle zone in cui si sviluppa una maggiore pressione: è questo il quadro tipico delle callosità della pianta del piede, definita con il termine medico di “ipercheratosi” neuropatia motoria. La neuropatia motoria colpisce le fibre nervose che innervano i muscoli del piede. Queste fibre nervose sono deputate a dirigere i comandi del cervello ai muscoli, determinandone quindi i movimenti. Quando un nervo che va ad un muscolo subisce un danno, il muscolo stesso soffrirà reagendo con una involuzione: questa si esprimerà in termini di ipotrofia e atrofia. L’ atrofia di un muscolo o un gruppo di muscoli porterà ad uno squilibrio tra muscoli o gruppi di muscoli. Tipicamente nel diabetico con neuropatia motoria si crea uno squilibrio tra muscoli estensori e flessori e un conseguente sbilanciamento tra le varie strutture tendinee che squilibreranno a loro volta le relative articolazioni. In parole più semplici, quando un muscolo si “retrae” perché si atrofizza, il tendine di quel muscolo trascinerà indietro l’ articolazione sulla quale è inserito. Il risultato finale sarà la griffe delle dita (queste si atteggeranno in modo tale da ricordare gli artigli animali), la prominenza delle teste metatarsali o l’ accentuarsi del cavismo del piede, etc. . Queste deformità possono coesistere nello stesso piede e, in taluni casi aggravare deformità già presenti (es. l’ alluce valgo che peggiora il proprio grado di valgismo). Tutto questo porta a una deformazione del piede e ad una modificazione dell’ appoggio plantare con una conseguente alterazione della superficie d’ appoggio che si ridurrà a punti particolari (es. teste metatarsali, tallone). Tale sconvolgimento dell’ appoggio del piede detemina un ipercarico (punto di maggior appoggio, quindi di maggiore pressione) in alcune aree e un carico minore in altre. L’ organismo nel tentativo di difendersi da questo eccesso di carico irrobustisce il foglietto più superficiale della pelle, lo strato corneo, nelle zone in cui si sviluppa una maggiore pressione: è questo il quadro tipico delle callosità della pianta del piede, definita con il termine medico di “ipercheratosi” . L’ ipercheratosi è un tentativo estremo del piede di difendersi dall’ eccesso di carico, ma è una difesa labile nel tempo: se non si provvede a ridurre l’ iperpressione in quel punto, a lungo andare si formerà un ematoma da schiacciamento e, perdurando l’ ipercarico, inevitabilmente si produrrà un’ ulcera . L’ ipercheratosi è visibile all’ ispezione del piede, ma un picco di iperpressione in punti specifici del piede, anche in assenza di ipercheratosi, è diagnosticabile con apposite carte podobarografiche o pedane podobarometriche che danno un’ immagine visibile e/o numerica delle pressioni plantari. L’ ipercheratosi è un tentativo estremo del piede di difendersi dall’ ccesso di carico, ma è una difesa labile nel tempo: se non si provvede a ridurre l’ iperpressione in quel punto, a lungo andare si formerà un ematoma da schiacciamento e, perdurando l’ ipercarico, inevitabilmente si produrrà un’ ulcera. L’ ipercheratosi è visibile all’ ispezione del piede, ma un picco di iperpressione in punti specifici del piede, anche in assenza di ipercheratosi, è diagnosticabile con apposite carte podobarografiche o pedane podobarometriche che danno un’ immagine visibile e/o numerica delle pressioni plantari

La neuropatia autonomica

L’ influenza della neuropatia autonomica è molto meno conosciuta e, probabilmente, meno rilevante rispetto al devastante impatto della neuropatia sensitiva e motoria. La conseguenza più immediatamente visibile della neuropatia autonomica è la secchezza (anidrosi) del piede dovuta al mal funzionamento delle fibre nervose che regolano l’ attività delle ghiandole secretorie della cute. La secchezza può provocare fissurazioni (taglietti) della cute, soprattutto al tallone, che sono una facile porta di ingresso per i germi, anche a causa del diverso PH che si viene a creare per l’ anidrosi. Un altro aspetto clinico facilmente visibile in un piede neuropatico e imputato alla neuropatia autonomica è l’ edema della gamba e del piede; questo aspetto sembra essere legato ad una alterazione nella regolazione del microcircolo. Fisiologicamente il sistema autonomico simpatico determina una vasocostrizione a livello delle arteriole e controlla il flusso sanguigno cutaneo attraverso le anastomosi (vasi di collegamento) artero-venose. Un altro aspetto clinico facilmente visibile in un piede neuropatico e imputato alla neuropatia autonomica è l’ edema della gamba e del piede; questo aspetto sembra essere legato ad una alterazione nella regolazione del microcircolo.

Il piede infetto

Una complicazione frequente e pericolosa di un’ ulcera è l’ infezione. Un’ ulcera infetta può provocare fenomeni sistemici che possono mettere a repentaglio non solo il salvataggio d’ arto ma la vita stessa del paziente. Il primo passo è distinguere se un’ ulcera infetta necessita di provvedimenti immediati al di là della medicazione o se è sufficiente un intervento medicativo. Le infezioni compartimentali (ascesso) o le infezioni da anaerobi (gangrena gassosa) o da germi misti (cellulite o fascite necrotizzante) richiedono provvedimenti terapeutici generali e chirurgici, che se non intrapresi con urgenza possono avere conseguenze molto gravi per il paziente. L’ infezione si instaura nella maggior parte dei casi su un’ ulcera aperta da molto tempo e non adeguatamente curata. L’ infezione spesse volte è la causa che da sola determina la necessità di un’ amputazione maggiore, effettuata a livello di gamba o coscia. E’ possibile, sulla base delle caratteristiche di gravità distinguere due tipi di lesioni infette:

  • piede diabetico acuto
  • piede diabetico cronico
L’ infezione acuta del piede è definita con termini anglosassoni come:

  • infezione che mette a repentaglio la gamba
  • infezione che mette a repentaglio la vita.

Esiste poi l’ infezione cronica che, in quanto meno “eclatante” rispetto alla precedente risulta molto subdola, poichè può, se sottovalutata o non correttamente trattata, trasformarsi nelle due precedenti. Una classificazione molto semplice prevede 2 quadri clinici :il piede diabetico infetto acuto, il piede diabetico infetto cronico

La cura dell'ulcera plantare

L’ ideale sarebbe identificare tutti quei soggetti diabetici affetti da neuropatia e da deformazioni dei piedi per attuare un programma di prevenzione che riesca a ridurre il rischio di comparsa di lesioni ulcerative. Nonostante si cerchi di effettuare una efficace prevenzione, ma ancor più se questa non si attua, un piede neuropatico può ulcerarsi. Il problema a questo punto è curare l’ ulcera nel migliore dei modi e di conseguenza farla guarire il prima possibile. La cura dell’ ulcera neuropatica plantare si basa fondamentalmente su tre momenti:

  • la cura locale della lesione
  • il trattamento di eventuali infezioni
  • lo scarico della lesione ulcerativa

E’ di fondamentale importanza rimarcare il fatto che la mancata attuazione anche di uno soltanto di questi momenti terapeutici diminuisce drasticamente la probabilità di guarigione della lesione ulcerativa, con il rischio anzi di un suo peggioramento nel tempo. L’ ulcera neuropatica, è nella maggior parte dei casi localizzata in sede plantare. La cura di un’ ulcera plantare, come d’ altronde di tutte le ulcere, prevede non soltanto che sia curata la lesione ma che sia eliminata la causa che l’ ha prodotta, nel nostro caso l’ iperpressione. Il primo passo sarà quindi il cosiddetto “debridement” dell’ ulcera che consiste nell’ eliminare tutti i tessuti non vitali fino ad arrivare a tessuti ben sanguinanti Sovente questo approccio è mal compreso e quindi mal accettato dal paziente che, prima del debridement, presenta una lesione non sanguinante e di ridotte dimensioni Il debridement infatti, rimuovendo il tessuto non vitale, evidenzia l’ ulcera sottostante, nascosta dall’ ipercheratosi, che presenta una dimensione sensibilmente maggiore. Questa momento terapeutico è tuttavia indispensabile: l’ ipercheratosi non è un tessuto capace di rigenerare cellule viventi ma tende anzi a “soffocare” il tessuto vitale sottostante necessario per la guarigione; se non si elimina l’ ipercheratosi non si otterrà mai la guarigione dell’ ulcera. Ma il debridement è solo il primo passo nella cura dell’ ulcera: se anche abbiamo fatto un preciso debridement e applicato una medicazione “avanzata” di ultima generazione ma rimettiamo il piede medicato in una scarpa qualsiasi non avremo eliminato la causa che ha prodotto l’ ulcera, cioè l’ iperpressione e la frizione. Questa continuerà ad offendere l’ ulcera, anche se medicata, ostacolandone il processo di riparazione. I fibroblasti, cellule necessarie per la guarigione dell’ ulcera, se traumatizzati dal carico non possono adempiere correttamente alle funzioni rigenerative, al contrario di quelli protetti da uno scarico adeguato. Un passo indispensabile sarà quindi lo scarico della lesione ulcerativa; questo può essere ottenuto banalmente col riposo a letto o con l’ utilizzo della carrozzella. Tuttavia un’ ulcera impiega molto tempo per guarire e rimanere a letto per 2-3 mesi non è solo difficile da attuare ma potrebbe rivelarsi dannoso per l’ organismo (si pensi, ad esempio, alla possibile formazione di nuove ulcere da decubito al tallone o alle regioni sacrali). La terapia ottimale, è uno “stivaletto” che permetta di scaricare completamente il piede pur permettendo una relativa mobilità. Apparecchi di scarico realizzati con materiali leggeri come la vetroresina, vengono utilizzati nei centri specializzati nella cura del piede diabetico, consentendo una guarigione dell’ ulcera plantare in percentuale molto elevata e in tempi relativamente brevi. In alcuni pazienti, può essere utilizzata una scarpa preformata, caratterizzata da un plantare convenientemente “scavato” in corrispondenza della zona ulcerata; tale calzatura è stata ideata in modo da poter contenere anche un piede “abbondantemente” medicato

Medicazione delle ulcere diabetiche

La vera rivoluzione in fatto di medicazioni si ebbe però nel 1962, quando Winter pubblicò il suo lavoro sulle lesioni acute superficiali indotte su due maiali domestici. (Winter, G.D. – Formation of the scab and the rate of epithelialization of superficial wounds in the skin of the young domestic pig. – Nature 1962; 193: 4812, 293-294). Coprendo una lesione con una pellicola di materiale occlusivo (polietilene) Winter ottenne al di sotto di essa un ambiente umido in grado di garantire una riepitelizzazione due volte più rapida, quando confrontata con la guarigione della lesione lasciata seccare all’ aria. Tale studio, che per alcuni aspetti era lacunoso (coinvolgimento di un modella vera rivoluzione in fatto di medicazioni si ebbe però nel 1962, quando Winter pubblicò il suo lavoro sulle lesioni acute superficiali indotte su due maiali domestici. (Winter, G.D. – Formation of the scab and the rate of epithelialization of superficial wounds in the skin of the young domestic pig. – Nature 1962; 193: 4812, 293-294). Coprendo una lesione con una pellicola di materiale occlusivo (polietilene) Winter ottenne al di sotto di essa un ambiente umido in grado di garantire una riepitelizzazione due volte più rapida, quando confrontata con la guarigione della lesione lasciata seccare all’ aria. Tale studio, che per alcuni aspetti era lacunoso (coinvolgimento di un modello animale non standardizzato, ferite superficiali acute e non croniche), ha comunque aperto la strada ad un nuovo di gestire le lesioni: la guarigione in ambiente umido. standardizzato, ferite superficiali acute e non croniche), ha comunque aperto la strada ad un nuovo di gestire le lesioni: la guarigione in ambiente umido. Oggi giorno ci sono in commercio svariati tipi di medicazioni avanzate che assicurano permanenze in situ di più giorni.

Prevenzione

In generale si può affermare che la miglior difesa nei confronti di una malattia è la conoscenza delle cause che possono determinarla; individuate tali cause è possibile scegliere le terapie più idonee a prevenirla. In presenza di neuropatia sensitiva si provvederà a visionare con frequenza il piede, a valutare l’ idoneità delle scarpe, la temperatura dell’ acqua del pediluvio col gomito, a non camminare a piedi nudi sulla sabbia. Qui di seguito si riportano le regole fondamentali per la prevenzione:

  • Ispezionare e lavare ogni giorno i piedi
  • Controllare la temperatura dell’ acqua col gomito o col termometro
  • Asciugare bene ma delicatamente, eventualmente con phon
  • Usare calze che non stringano e cambiarle ogni giorno
  • Idratare il piede se secco con creme specifiche
  • Non usare callifughi o strumenti taglienti per le callosità
  • Tagliare le unghie con forbice a punte smusse, arrotondare con lima di cartone
  • Non camminare a piedi scalzi
  • Non usare fonti di calore dirette (borse d’ acqua calda, calorifero, camino, etc)
  • Usare scarpe comode con punta rotonda e tacco non superiore a 4 cm
  • Quando si calzano scarpe nuove, controllare il piede dopo pochi minuti di cammino.

La presenza di iperpressione plantare prevede l’ uso di plantari che permettano un riequilibrio dei picchi pressori e di scarpe predisposte a contenere insieme il piede e il plantare e contemporaneamente a difenderlo da frizioni e pressioni. Tali scarpe devono essere automodellanti o termoformabili; in modo da poter alloggiare eventuali deformità che, in una scarpa normale, potrebbero determinare la formazione di ulcere Tutto questo, dalla diagnosi all’ istruzione alla prescrizione di apposita ortesi (scarpa + plantare) deve essere fatto negli ambulatori di diabetologia. Tutto questo deve essere fatto in tutti i soggetti diabetici, con una frequenza adatta alla stadio della malattia. Tutt’ altro discorso è la prevenzione secondaria, e cioè la prevenzione di un’ ulteriore ulcerazione in un soggetto che ha già avuto un’ ulcera. In questo caso è stato dimostrato che sono necessarie scarpe a suola rigida (a barchetta) con plantari su misura. Se l’ ulcera ha comportato un intervento di amputazione minore, è spesse volte necessaria una scarpa su misura. In questi pazienti è inoltre necessario un frequente controllo ambulatoriale, almeno ogni due mesi, presso un ambulatorio del piede diabetico.